LA CLAUSTROFOBIA
Questo è stato un anno di corse, di treni presi per poche ore altrove, di scelte importanti, di consapevolezze talvolta pesanti. E’ stato l’anno della resa. Mi sono arresa sentendo il fiato mancare dal troppo fare e dalla necessità di rispondere fin troppo spesso alla mia severità di giudizio. L’anno in cui per la prima volta ho avuto una sensazione di stanchezza ingombrante e talvolta così spessa da dovermi fermare anche quando avrei voluto fare di più. E ho imparato a rispettarla quella stanchezza e a prendermi cura del tempo – che tanto non si moltiplica se gli mettiamo pressa – e sto provando a fare meno cose o almeno meno cose tutte insieme. Svuotare invece di riempire, selezionando scrupolosamente cosa tenere vicino e cosa allontanare.
E se ci riesco qualche volta a bloccare il tempo: dicendo più spesso di no, prendendomi un’ora al giorno per fare sport, spegnendo il telefono quando la misura è colma, è anche perché sono circondata di persone speciali, di amici di incredibile intelligenza e sensibilità, di colleghi in grado di mettere un po’ di felicità nel day-by-day frenesia portami via, di un amore che non ha paura di dirmi “mi piaci proprio così come sei”.
ESSERE FALLIBILI
Brenè Brown è una docente di sociologia presso l’Università di Houston e ha dedicato la propria carriera alla ricerca sociale nel campo della vergogna, della paura e della vulnerabilità. E’ anche una sorta di star dell’ultimo decennio, gode di grande notorietà per gli studi che conduce (sopratutto in US) e per questo TED Talks che l’ha resa molto celebre.
Brenè ha pubblicato diversi libri, continuato a diffondere i risultati della sua ricerca e su Netflix c’è uno speciale dedicato a un suo splendido intervento. Si parla sempre più spesso di lei e dei suoi suggerimenti in merito a rapporto che le persone hanno con le proprie emozioni: la vergogna, il senso di inadeguatezza, la vulnerabilità. Tantissimi commenti, consigli e raccomandazioni partono sempre dallo stesso assunto: accogliere la propria vulnerabilità è fondamentale per accettarsi e conoscersi profondamente. Va bene essere vulnerabili. Bisogna essere vulnerabili. Eccetera Eccetera Eccetera.
Molto meno spesso, invece sento parlare di due questioni, che son quelle che hanno più impressionato me: la gratitudine e la fallibilità. La gratitudine ci impedisce di diventare inutilmente polemici o depressi cronici, nutre la parte meravigliata di noi, ci mette in relazione profonda con ciò che viviamo e abbiamo intorno, aiutandoci a nuotare nella parte piena del bicchiere e a farci gestire più o meno serenamente quella vuota.
La fallibilità è la condizione che accettiamo quando siamo coraggiosi, quando siamo capaci di rischiare.
C’è un gran parlare del potere della vulnerabilità e troppo spesso la direzione che viene data a tutte queste chiacchiere è quella dell’infallibilità: se accettiamo la nostra vulnerabilità, saremo forti, invincibili, troveremo soluzioni inaspettate e via dicendo. Si parla troppo poco di quanto invece, semplicemente, essere vulnerabili significhi essere fallibili.
Se siamo disposti a tentare, mettendoci in gioco totalmente allora, sbaglieremo. E questo è ciò che più mi ha colpito di quello che Brenè dice senza girarci troppo intorno: “Badate bene, non c’è la possibilità che si sbagli. Se siete coraggiosi e pronti a scendere in arena, allora sbaglierete di certo”.
ESSERE FALLIBILI NEL LAVORO
Il mondo del lavoro troppo spesso tende a distinguere le persone fallibili e quelle infallibili, quelli “veramente bravi” da quelli “bravi e basta”. E troppo poco invece distingue tra i coraggiosi e i codardi, perché chi è coraggioso si impegnerà per innovare, crescere, studiare, cercare soluzioni creando valore. E quando qualcuno è in grado di generare valore che fa la differenza.
Quest’anno ho imparato che schiacciare sull’acceleratore dell’infallibilità non ci fa andare più veloci, anzi, qualche volta non ci porta da nessuna parte.
ESSERE FALLIBILI NELLA VITA
Ho dovuto imparare a tagliare, a compiere il pezzo di strada che riuscivo a percorrere lasciando agli altri la possibilità di fare il resto di strada verso di me. Ho messo in discussione molte cose della mia vita, distruggendo tutto quello che mi sembrava fastidioso per poi rimettere insieme i pezzi e osservarli con lo sguardo adulto di chi prova a fare le cose abbandonando lo schema già testato. Ho imparato che le parole sono importanti, ma che il silenzio è prezioso e che è là dove trovi l’occasione per spiegarti, ma puoi essere compresa anche stando in silenzio, che puoi restare.
Ho imparato a litigare, invece di mitigare. Ma meno dramah queen esistenziale. Molto meno, anche se sono ancora capace di esibizioni da oscar (eh, ma quella è l’esperienza … ). Ho imparato che sbagliare è un modo per imparare.
IL FEMMINISMO
femminismo Movimento di rivendicazione dei diritti economici, civili e politici delle donne; in senso più generale, insieme delle teorie che criticano la condizione tradizionale della donna e propongono nuove relazioni tra i generi nella sfera privata e una diversa collocazione sociale in quella pubblica. (Treccani)
“Femminismo” è una parola fastidiosa ancora per molti, una parola di cui tantissimi ignorano il significato. C’e un gran bisogno di conoscenza e di rispetto tra le persone, sopratutto tra quelle diverse. E mai come ora ho l’impressione che il mondo abbia davvero bisogno di femministe e di femministi, pronti a prendere posizione e a chiarire che la società deve essere un luogo di pari accesso e possibilità, che il mondo dovrebbe poter accogliere con lo stesso calore e talvolta entusiasmo ogni attitudine o talento. C’è un difetto di sistema, che si ripresenta di volta in volta quando c’è una parte privilegiata, ed è che questa parte non si accorge di quei privilegi, non percepisce di avere maggiori diritti, maggiori possibilità finendo per dare troppe cose per scontato.
Negli ultimi mesi ho messo a fuoco molti atteggiamenti di maschilismo interiorizzato nei luoghi più comuni e dalle persone più inaspettate. Essere femministi non significa ricercare istericamente una forma di rivalsa o di supremazia, ma agire per un fine di giustizia sociale. E comunque, se talvolta per questo sarà necessario che qualcuno sia isterico, bene, fatevene una ragione.
Quest’anno ho capito di essere femminista.
IL 2019
E’ stato un anno veloce, a tratti claustrofobico, denso e rivoluzionario per tante cose che mi riguardano.
Per il 2020 vi auguro di ridere di più, svegliarvi con l’aroma di caffè già in giro per casa, di ascoltare musica bella, di essere curiosi, di alleggerirvi e circondarvi di persone straordinarie, quelle che ci aiutano a pittare l’ordinario di blu.