Non so voi, ma io vivo “per boe”.
Quelle che si trovano per mare. Cioè: non vivo, navigo. E mentre navigo dico un sacco di parolacce, come ogni vera donna al volante/timone di qualcosa.
E remo, sia con il vento che con il mare calmo. Scelgo un punto nel mio orizzonte e vado diretta, non curante della grandezza del mare o dell’altezza delle onde.
Remo instancabilmente e quando finalmente raggiungo una boa: svolto.
E svoltare mi regala sempre una gran sensazione, breve, ma intensa. Come andare a dama: la partita la devi ancora giocare tutta, lunga come la vita e larga come il mare, ma una volta lì ti entusiasmi e ti senti più forte. Pronto a proseguire, a giocare ancora, a perdere qualche pedina se è il caso.
Una volta raggiunta la boa, tiro un respiro di sollievo, guardo indietro e penso sorpresa che ho remato davvero tanto. Anche a sto giro (di boa).
“Anche se la bussola sembra non funzionare e le carte neanche a guardarle perché tanto non sai leggerle, e il tuo senso dell’orientamento sembra essere stato concepito come optional per confonderti più che per il contrario. Anche se sei un congegno strano e mappato male, remi così tanto e così tanto intensamente da essere quasi diventata brava.”
Quasi mi conveniva fare canottaggio, ma mi ritrovo a passare ore al telefono o inviando mail.
E si, qualchecosadeveessereandatostorto (riflessione estemporanea digerita così, tutta d’un fiato e senza spazi).
E il punto, che se c’è un punto questo è sempre da un miliardo di euro, è proprio tutto qui:
qualcosa deve essere andato storto.
C’è sempre qualcosa che va storto.
Per fortuna.