Da ragazzina ho sempre avuto la sensazione di mancare in qualcosa. Quella sensazione assolutamente indefinita ed indefinibile per cui mi sentivo a disagio spesso (e volentieri). Questa sensazione mi ha reso schiva e riservata, per concedermi di lasciare andare solo con pochissime persone o in alcuni contesti. Per affrontare questa scomoda sensazione cercavo quindi di compiacere gli altri e trovare uno spazio di accettazione nelle loro vite, ma che dico di accettazione, di riconoscimento! Riconoscersi attraverso gli occhi degli altri è una facile illusione e nei miei 15/16/17 anni, mi sembrava fondamentale. Contavo solo quando le persone a cui tendevo mi facevano sentire importante. E ogni volta che riuscivo ad essere di conforto o di aiuto a queste persone, solo allora mi sentivo veramente utile.
Eppure, la scomoda sensazione non se ne andava. Detta così penserete: minchia che strazio d’adolescenza.
La mia è stata anche fatta di tanti momenti belli. Giuro. Ma oggi per strane ragioni ripenso a come mi sentivo allora e a quello che ho imparato. Dopo.
Ho imparato che la prima persona che deve volerti bene sei tu, la prima a cui devi piacere sei ancora tu e che le persone si scelgono, dopo esserci capitate. Accuratamente aggiungerei. Si scelgono quelle che ci fanno contare qualcosa, quelle che ricambiano i nostri salti mortali con i loro, quelli che ci forniscono una strada per raggiungerli o un codice per comprenderli, quelli che ci fanno spazio nella loro vita.
Quelle che ci fanno avere voglia di esserci, che ci strappano sorrisi e lacrime e che non mancano di regalarcene. C’è sempre il modo di sentirsi a casa con una persona che si sente a casa con te.
Bisogna solo scegliersi.