Di tutte le cose difformi che ho, ho avuto e ancora non so d’avere, ma inevitabilmente si renderanno palesi prima o poi, quella che mi infastidisce di più è la sensazione di invadenza nella vita e nelle cose delle persone che mi interessano.
I legami umani per me sono un motivo di connessione con il mondo e con la terra, mi vedo attraverso le persone che mi circondano, le seleziono, raccolgo la loro voglia di insegnarmi qualcosa o quello che mi lasciano di passaggio, mi metto in discussione per ognuno che mi dà o mi toglie. Mi perdo a guardare prima ancora d’essere guardata.
Ho imparato crescendo che va bene lasciare andare, che si può amare e accogliere ad ogni livello, che contesti diversi possono convivere nella nostra vita quando siamo noi a diventare il punto di incontro tra mondi differenti, diversamente preziosi.
Ho imparato crescendo che il qui ed ora resta per causa di forza maggiore l’unica dimensione davvero identitaria e che se non sappiamo gestire il nostro spazio e il tempo che ci sta dentro, allora la vita ci sta passando addosso.
Ho imparato che scegliere è una responsabilità che non si può evitare, perché non scegliere è una scelta. Non prendere posizione è una scelta, il silenzio è una scelta. E scegliere è una responsabilità tanto quanto non scegliere.
Eppure ancora non ho imparato come si fa a non sentirsi troppo. Un fiume in piena che andrebbe contenuto, misurato, colmato.
Mi capita ancora di chiedere scusa quando ho la sensazione d’invadere corsie altrui, con le parole, con i desideri, con le espressioni silenziose che no riesco a misurare. Mi capita ancora di chiedermi, quando alle mie domande aperte sento rispondere solo il mio eco, se non sia io a domandare, desiderare, spingere troppo. Che l’equilibrio è precario anche nella bellezza e il troppo, si sa, storpia.