Accogliere le cose non basta.
Bisogna imparare a starci dentro e dargli lo spazio ed il valore che chiedono alla nostra vita.
Quest’anno mi ha insegnato tante cose, alcune molto amare, ma non per questo meno preziose.
La prima è che siamo i primi responsabili della nostra felicità perché è nostra cura scegliere ciò che nella vita può rispondere al nostro richiamo con la stessa intensità e lo stesso entusiasmo.
Che a rinunciare a vivere davvero è un attimo. Per ogni volta che si ripiega, convinti che ci sia spazio per tutto, sempre.
La seconda cosa che ho imparato è che siamo fatti per decidere, anche se non farlo è più semplice.
Ho subito spesso scelte degli altri nella mia vita: amori, lavoro, studio. Rispondere alla posizione presa da un altro è frustrante: la maggior parte delle volte restiamo inermi troppo a lungo prima di riprenderci dal torpore procurato di chi ci cambia la vita senza chiederci il permesso. Si cerca di far tornare i conti; che poi andare avanti ci sembra fattibile anche se la verità è che ci diciamo un sacco di fesserie finché poi non ci svegliamo un giorno e non ci ricordiamo più bene le domande ed i motivi del torpore.
Eppure, non abbiamo altra scelta: se a decidere è qualcun altro, non ci resta che adeguarci. In questa cosa qui si può diventare bravissimi e bisogna stare attenti a non diventare bravissimi.
Ma non è di reazioni che si vive, non per le cose importanti. Le cose importanti della vita richiedono partecipazione e partecipare vuol dire assumersi la responsabilità di scegliere, di prendere posizione, di dichiarare i propri desideri, di chiedere scusa, di modellare la propria vita perché si crei uno spazio adeguato a quello che vogliamo ci stia dentro. Le cose importanti richiedono tanta onestà e ci ricordano continuamente quanto siamo imperfetti. Ma proprio per questo possono richiedere grandi cambi di rotta, grandi e potenti tentativi di recupero.
Stare dentro le cose vuol dire fargli lo spazio opportuno, rispettarle, curarle.
La terza cosa che ho imparato, è che cercare colpevoli per il nostro dolore non è mai una soluzione né tanto meno potrebbe essere un palliativo: cercare sincere possibilità di riscatto con se stessi è forse l’unica soluzione possibile.
Le persone infelici sono come un ingranaggio mal funzionante che s’incaglia continuamente e risucchia energia ovunque intorno a sé. Ma per innescare condizioni positive, dobbiamo essere noi l’ingranaggio che vorremmo incontrare.
La quarta è a lasciare andare. Senza spiegare oltremodo: per ferire o ferirci il meno possibile. Certi processi non sono indolore, non lo saranno mai e quel dolore lì ci deve passare tutto addosso: ci serve, esattamente come serve la felicità (semicit.).
La quinta è che le persone vanno via anche se amano quando non gli si offre ragioni per restare.
La sesta cosa che ho imparato è che le persone che hai amato ti resteranno per sempre dentro. Per quanto si possa credere di avere fallito, chi ha amato sinceramente, si porta a casa qualcosa di sé che ha scoperto solo attraverso gli occhi della persona da cui è stata amata. Si porta a casa qualcosa dell’altro che non avrebbe potuto trovare altrove.
La settima è che meritiamo d’essere amati almeno tanto quanto siamo pronti ad amare. E sentirne il bisogno non è una faccenda di cui vergognarsi.
Ma una cosa seria.