Ci sono cose che non avrei mai pensato di poter capire, digerire, elaborare.
Insomma, ci sono cose di cui prendo atto, di cui divento consapevole, anche profondamente consapevole, ma che mi restano comunque sulla punta dello stomaco.
E io, non per niente, soffro di gastrite. Da sempre. Cronica, tipo. Non nel senso che c’è sempre, ma nel senso che latita, alla meglio, poi spunta improvvisamente e si manifesta istantaneamente all’occorrenza, imponendosi pure con una certa arroganza.
Ricordo ancora quando a scuola, dovevano tirarmi su dalla sedia di peso, perché io proprio mi inchiodavo rannicchiata e non c’era verso che m’alzassi, né tanto meno che camminassi sulle mie gambe. Figuriamoci.
Con il tempo ho imparato a convivere con la gastrite, cronicamente. Anzi, ho sviluppato tutta una serie di super qualità aggiunte. Dei plug-in, direi dei gastro-plug-in.
Tecnicamente, quindi, sono una donna potenziata.
L’ultima volta che la gastrite ha sferrato un attacco di quelli che non durano solo il tempo di un imbarazzo repentino, si è assestata su un livello di dolore discretamente sopportabile che si è proteso costantemente per circa 4 mesi, la scorsa estate. Ho perso 7 chili e pensato anche che sarei potuta scendere a patti con la stessa cara amica gastrite, cronica, tra le altre cose, tanta era l’eccitazione di ritrovarmi “secca-secca” per l’estate, senza aver fatto alcun particolare sforzo, se non gestire la mia convivenza con una vecchia compagna.
Insomma, lei ogni tanto arriva, brucia e io intanto “elaboro”. Il che consiste nel procedere con la vita e basta. Che sembra poca roba, detta così, ma non lasciatevi ingannare, è una delle cose più difficili da fare quando sei una persona dalle numerose e differenti personalità. Oltretutto potenziata, tecnicamente.
Perché vuol dire fidarti di qualcosa che arriverà domani, ma oggi non conosci e neanche vedi. Affidarsi alla corrente e accettare addirittura che qualche volta non ti conceda nemmeno di rimanere più o meno saldo alla guida. Lasciare che le cose trovino la loro direzione.
E a me, tendenzialmente, non resta che prendere la mia (di direzione), senza rimanere ferma e ostinata nello stesso posto, guardare avanti con la sola speranza di intravedere la prossima costa su cui attraccare oltre che con il piacere di godermi il viaggio, andare in bicicletta, studiare cose nuove, litigare con tante persone diverse. Probabilmente cambiare di nuovo casa. Crescere, in fin dei conti.
Mentre io cresco, la gastrite riprende piano piano a latitare. Non perché il tempo mi aiuti a dimenticare, c’ho una memoria fotonico-folgorante assurda (sopratutto per le cose per cui potrei trovare motivo fondato di dramma). Ma perché, immancabilmente, mi da tutte le risposte che stavo cercando. Ed in cambio mi chiede solo di continuare a cercare.
Mi smentisce la maggior parte delle volte, lui, ma mai che si sia ritratto ad una domanda.
Ora c’è questa cosa, che ero disposta a sopportare (la capacità di sopportazione è fortemente potenziata grazie ad un apposito plug-in), ma che non avrei mai creduto di poter capire. E la vita ha incastrato i giorni, le cose, le facce, le parole e le persone in modo che io la capisca, oggi. Cioè, mi pare che non faccia una piega. Mi sembra stupida e poco sopportabile come era ieri. Eppure la capisco. Con tutta l’umanità che sottende.
Ho detto a “gastrite” d’andarsi a fare un giro quest’estate.
Che per il mese di giugno ci siamo già frequentate abbastanza.