Se c’è una cosa che mi ha lasciato il fatto di essere nata e cresciuta in un paesello in provincia di Caserta, questa è certamente la capacità e la voglia di avere a che fare con moltissime persone tra di loro differenti e differenti da me. Poi certo, per affinità ci si sceglie e non tutti i rapporti si approfondiscono allo stesso modo, non fosse altro che per mancanza di tempo e possibilità. L’attenzione rivolta a troppe cose equivale alla disattenzione, per cui tanto vale selezionare con scrupolo tempi e persone, secondo il mio parere.
Eppure gli incontri, anche quelli sparsi nel via-vai delle lunghe giornate imbottite di troppi impegni, quando vissuti con sincerità, hanno valore e portano valore. Nella leggerezza di incroci sinceri seppure veloci, vive comunque uno scambio. E per quanto una persona potrà apparire lontana da te, fermarti a guardarla potrebbe lasciarti qualcosa, a patto che tu sia disposto a guardare. Ovvio.
A me hanno dato moltissimo le persone migliori di me, ma anche quelle che credevano di poter imparare loro qualcosa nell’avere a che fare con me, hanno spesso lasciato tanto. Persone diverse e lontane anche solo dall’idea che ho di me, potrebbero bastare a mettere in circolo discussioni su ciò che sono, su come agisco e maneggio le cose della mia vita.
Se c’è invece qualcosa che certamente mi infastidisce, quella è la supponenza. L’aria di sufficienza e disattenzione totale verso le persone, tanto quanto lo spirito di approssimazione rispetto alla diversità. Mi urta epidermicamente chi si diverte alle spalle di qualcun altro, di quello nuovo, di quello più giovane, di quello meno bello. Trovo che sia un’espressione, stupida, di disagio.
Mi urta la stupidità, appunto, di chi si crede così elevato da non trovare il modo di guardare alla leggerezza con attenzione.
Mi urta chi è così tanto preso da sé da non essere disposto a guardare verso gli altri.
Epidermicamente.